Il Francese

Il francese

è stato per secoli, e fino a diversi anni dopo l’Unità d’Italia, la lingua più conosciuta e utilizzata nella Valle di Susa e nelle valli pinerolesi dopo il  patois. I motivi di tanto successo sono molteplici e complessi, e sono legati alla storia come all’economia della zona e alla profonda adesione alla religione (valdese o cattolica) dei suoi abitanti.

Innanzitutto l’Alta Valle di Susa e la Val Chisone, cedute dai Delfini alla Francia nel 1349, dovettero assumere il francese come lingua ufficiale e colta. Il francese era anche la lingua portata dai Valdesi con la loro immigrazione e tramite essi, che si integrarono con gli abitanti della valle, si arrivò anche a una fusione del linguaggio. Per i Valdesi questo codice non era solamente quello primario, ma anche la lingua di cultura legata alla liturgia, poiché la loro dottrina gravitava attorno al polo di Ginevra, città dalla quale giungevano idee e testi.

L’utilizzo del francese fu legato all’influenza della religione anche da parte cattolica: la Prevostura di Oulx, nel corso del XII sec., era stata disgiunta dal vescovado di Torino e, dopo un breve periodo di indipendenza, annessa alla diocesi di Embrun. Le parrocchie della Val Chisone rimasero sotto la giurisdizione del vescovo di Embrun fino al 1748, quando la Chiesa di Pinerolo passò al vescovado. Il primo vescovo fu D.G. Orlier dei Marchesi di St. Innocent, già prevosto di Oulx e cresciuto con un’educazione francese: egli continuò naturalmente a prediligere la propria lingua di origine. Il vescovado venne soppresso dai francesi nel 1802. Dopo il 1817, anno in cui a Pinerolo venne ristabilito il vescovado, il francese venne scelto per condurre una più efficace azione contro i Valdesi, dei quali era sempre la lingua scolastica e liturgica.

Nel 1713, quando con la pace di Utrecht le valli già delfinatesi vennero cedute alla Savoia, di fatto non cambiò nulla per quanto riguardava la lingua. L’utilizzo del francese venne tollerato e permesso ufficialmente.

Il francese era insomma una lingua di prestigio sia per i ceti elevati che per i contadini delle valli montane. Infatti, al di là dei giochi politici e religiosi di cui per lo più i valligiani erano all’oscuro, al di sotto delle complicate ragnatele di rapporti tra corti e vescovadi, tra rappresentanti dell’uno o dell’altro Stato, l’uomo semplice volgeva lo sguardo ai monti, il passo al sentiero, per cercare lavoro e fortuna oltralpe.

L’emigrazione stagionale è stata per molto, molto tempo un normale evento nella vita di un uomo. Il significato di questo fenomeno e le sue conseguenze sono molteplici; innanzitutto tale emigrazione aveva prevalentemente carattere temporaneo, essendo stati solamente eventi traumatici (le guerre con la chiusura delle frontiere e tutte le difficoltà connesse all’ottenere i documenti necessari, o anche solo al rischio del viaggio per rientrare) a causare lo stabilirsi definitivo di emigranti valligiani all’estero.

Il motivo che spingeva in quella direzione, nelle zone di cui parliamo, era quello economico: l’allevamento di pochi capi di bestiame e i terreni poveri di montagna non sempre bastavano alla sussistenza di famiglie mediamente numerose; a questo si aggiungeva il desiderio di una maggiore agiatezza suscitato proprio dal contatto avuto, oltreconfine, con stili di vita diversi. Nel 1840 nuove norme emanate da Carlo Alberto avviarono la scuola piemontese a una riforma decisiva: l’italiano venne reso materia fondamentale nelle scuole superiori di latinità; questo è indice dell’inizio del cambiamento dei rapporti di potere tra il francese e l’italiano, che si avviava così a diventare la lingua di Stato. Con le riforme Boncompagni (1848) e Casati (1859) la scuola piemontese si salda a quella dello Stato unitario: la legge Casati istituiva la scuola elementare gratuita per quattro anni, di cui i primi due obbligatori. Tale legge prevedeva però anche l’uso del francese nei comuni nei quali venisse parlato correntemente. Sempre nel 1848 lo Statuto Albertino stabilì che la lingua delle Camere fosse l’italiano, ma era facoltativo servirsi del francese per i membri appartenenti ai paesi in cui tale lingua fosse in uso; una norma del 1854 stabiliva la traduzione in francese delle leggi ad uso dei comuni francofoni. Queste attenzioni erano dovute soprattutto alla considerazione in cui era tenuta la Savoia: quando quest’ultima, nel 1860, venne ceduta alla Francia, il numero dei francofoni diminuì drasticamente, e con esso l’attenzione alle questioni linguistiche.

AA.VV. "Le lingue del Piemonte" - Ires


 

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